Pazienti con malattie cardiache

Si sa che fra coloro in cui è indicata la vaccinazione antinfluenzale vi sono i pazienti con malattie di cuore. L’importanza della vaccinazione in queste persone va al di là del suo effetto sulla prevenzione dell’infezione e delle sue complicanze respiratorie: vaccinarsi contro l’influenza protegge anche dagli eventi cardiovascolari acuti, come infarti e ictus. Esiste infatti una ‘relazione pericolosa’ fra infezioni respiratorie ed eventi cardiovascolari, un dato che potrebbe a prima vista sorprendere, ma che è stato dimostrato da un gran numero di ricerche. Si tratta di osservazioni che possono avere un notevole impatto sulla salute della popolazione se si considera come le patologie cardiovascolari ischemiche costituiscano una delle principali cause di malattia e di mortalità nei paesi industrializzati. 

Infiammazione e aterosclerosi
La ragione per cui esiste un collegamento fra infezioni respiratorie e malattie cardiovascolari è da ricondurre essenzialmente al fatto che in entrambe entrano in gioco fenomeni di infiammazione. Se è intuitivo che possa essere presente un’infiammazione nel corso dell’influenza o di una qualsiasi altra infezione respiratoria, è forse meno scontato il fatto che questa possa essere coinvolta nei meccanismi che portano all’infarto. Eppure il processo di aterosclerosi che determina la formazione delle temute placche lungo le pareti delle arterie inizia proprio con l’infiammazione dello strato che riveste i vasi al loro interno, l’endotelio. A provocarlo può essere una varietà di stimoli, i più conosciuti dei quali sono senza dubbio il diabete, l’ipertensione, l’abitudine al fumo e gli elevati livelli di colesterolo. Una volta che la placca si è formata ed è cresciuta si può arrivare alla completa chiusura del vaso in cui si trova, con conseguente evento acuto (per esempio l’infarto quando a chiudersi è una delle coronarie). La chiusura può talvolta avvenire gradualmente, ma più spesso rappresenta un evento acuto in cui, sulla superficie della placca, viene a formarsi un trombo che improvvisamente occlude più o meno completamente il lume del vaso impedendo il passaggio del sangue. La conseguenza è la cosiddetta sindrome coronarica acuta, anticamera dell’infarto. Si è visto che l’infiammazione ha un ruolo centrale proprio nei meccanismi che portano alla chiusura dell’arteria e alla conseguente sindrome coronarica acuta. Si è osservato per esempio che i pazienti che vanno incontro a sindrome coronarica acuta presentano, all’interno delle coronarie, un’attività infiammatoria nettamente superiore rispetto a quella misurata nei pazienti con malattia delle coronarie in fase di stabilità.

Infezioni acute e aterosclerosi
Oltre a provocare una risposta infiammatoria a livello dell’intero organismo, un’infezione acuta può esercitare un effetto infiammatorio anche a livello delle placche presenti nelle arterie. Un ruolo importante delle infezioni respiratorie sarebbe quello di promuovere la formazione dei trombi a livello della placca, fenomeno che, come detto, rappresenta il meccanismo che determina la chiusura dell’arteria e la conseguente comparsa della sindrome coronarica acuta. La formazione dei trombi richiede l’attivazione  delle piastrine, che può essere determinata direttamente dai microrganismi responsabili dell’infezione o dalla risposta infiammatoria che essi provocano. Sembra inoltre che le infezioni acute possano determinare dei fenomeni di vasocostrizione delle arterie coronarie con conseguente ulteriore riduzione del calibro dei vasi.

Infezioni respiratorie acute ed eventi coronarici
A dimostrare il collegamento fra eventi cardiovascolari e infezioni respiratorie non sono solo le osservazioni relative al ruolo dell’infiammazione; sono infatti numerose le osservazioni epidemiologiche e cliniche che permettono di collegare i due fenomeni. Oltre al fatto che entrambi variano di frequenza con le stagioni, con un picco nei mesi invernali, si è visto che fino a un terzo degli attacchi di cuore si verifica dopo un’infezione respiratoria acuta. Ancor più interessante è il fatto che nelle prime due settimane dopo l’infezione il rischio di eventi coronarici aumenta di 2-3 volte e, anche se nelle settimane successive tende a diminuire, rimane significativamente più elevato fino a tre mesi dopo l’episodio infettivo. A controprova del fatto che i due fenomeni sono strettamente legati c’è anche l’osservazione che il trattamento precoce dell’influenza nei pazienti che hanno già una malattia cardiovascolare riduce del 60% il rischio di un nuovo evento cardiovascolare nel mese successivo. Si è anche visto come esista una correlazione abbastanza forte in termini temporali fra il verificarsi delle epidemie influenzali e i tassi di infarti e di mortalità cardiovascolare. Altri studi sono andati a vedere se i pazienti ricoverati per infarto avessero avuto un’infezione respiratoria nei giorni precedenti l’evento coronarico. Anche i dati raccolti in questi studi confermano l’esistenza del legame; in particolare, il rischio di avere un infarto dopo un’infezione respiratoria sembra aumentare (in relazione ai diversi studi condotti) da un minimo di 2,1, fino a un massimo di 4,95 volte. Quest’ultimo dato proviene da una ricerca britannica che ha coinvolto oltre 20000 pazienti e da cui emerge come l’aumento del rischio sia di ben 4,95 volte nei primi 3 giorni, di 3,2 fra il quarto e il settimo giorno, di 2,8 nella seconda settimana e di 1,4 nelle successive due settimane. Altre ricerche hanno documentato come l’aumento del rischio si verifichi anche nel caso delle sindromi simil-influenzali, non dovute cioè al virus influenzale vero e proprio. Anche da queste ricerche emerge come il rischio di infarto aumenti di 2,4-3,8 volte, anche se in un paio di altri studi l’associazione fra i due fenomeni, pur presente, non risultava significativa sotto il profilo statistico. Altri  ricercatori hanno documentato un’associazione degli infarti anche con la polmonite batterica, possibile complicazione dell’influenza. In particolare, uno studio dimostra come il rischio di infarto nelle due settimane successive a un ricovero per polmonite batterica aumenti di ben otto volte, risultando massimo nei primi giorni per poi diminuire col tempo. 

Vaccinazione antinfluenzale e rischio cardiovascolare
Considerando la correlazione dimostrata fra infezioni respiratorie ed eventi coronarici è lecito supporre che la prevenzione dell’influenza possa avere un impatto favorevole anche sul rischio di eventi coronarici acuti. E qui entra in gioco il vaccino che potrebbe consentire, con una sola iniezione annuale, di ridurre il numero di eventi. Ovviamente si tratta di un argomento su cui hanno indagato in molti. Una delle cose che si è cercato di fare è stato di confrontare l’incidenza di infarti o di eventi coronarici acuti nelle persone che erano state vaccinate, rispetto alla popolazione non vaccinata. Diverse ricerche hanno documentato l’effetto protettivo del vaccino; per esempio nel corso di due studi in cui sono stati vaccinati pazienti che avevano avuto un primo infarto, è stato possibile ridurre rispettivamente del 67% e del 49% i nuovi infarti nel corso della stagione successiva; non tutte le indagini condotte hanno tuttavia confermato queste osservazioni. D’altra parte, un recente studio australiano mostra come la vaccinazione riduca il rischio del 45%, mentre altre osservazioni indicano la sua capacità di proteggere anche dall’ictus: in due differenti ricerche la riduzione del rischio è stata rispettivamente del 50 e del 54%.
Il possibile effetto protettivo della vaccinazione antinfluenzale è stato valutato anche con i cosiddetti studi di coorte. Si tratta di ricerche in cui gruppi di persone (per esempio individui vaccinati per l’influenza) vengono seguiti nel tempo per valutare il verificarsi di un eventuale evento (per esempio un infarto). In effetti questo tipo di studi non ha  fornito risultati univoci: in alcuni casi si è registrata una riduzione dei ricoveri per eventi cardiaci e cerebrovascolari, in altri non si sono osservate differenze. Risultati contrastanti sono stati ottenuti anche con un’altra vaccinazione, quella antipneumococco, per cui, nonostante i dati disponibili suggeriscano i vantaggi della co-somministrazione dei due vaccini nella prevenzione delle patologie respiratorie e delle relative complicazioni e mortalità, sono ancora dubbi i possibili effetti additivi nel campo della prevenzione cardiovascolare. 

I trial clinici su vaccinazione e rischio cardiovascolare
Quando si voglia valutare l’efficacia di un intervento sanitario gli studi che offrono i risultati più solidi sono i trial cinici controllati: quelli condotti per verificare l’efficacia della vaccinazione antinfluenzale nel ridurre il rischio cardiovascolare ne hanno confermato l’utilità. Così per esempio, in uno di questi trial 301 pazienti  cardiopatici sono stati destinati in maniera casuale e ricevere o meno la vaccinazione anti-influenzale. Una valutazione a 6, 12 e 24 mesi ha permesso di dimostrare come il rischio di morte per eventi cardiovascolari fosse nettamente più basso in chi aveva ricevuto il vaccino; analogamente una ricerca condotta con le medesime modalità ha dimostrato un effetto nella prevenzione degli eventi ischemici coronarici, con una riduzione del rischio del 46%, mentre un’altra ricerca su 439 soggetti con malattia coronarica ha permesso di dimostrare come la vaccinazione permettesse di ridurre del 43% gli eventi cardiovascolari maggiori  (morte o ricoveri per sindrome coronarica, insufficienza cardiaca o ictus). Unico problema relativo a questi studi è il numero relativamente piccolo di pazienti che vi sono stati inclusi. A questo punto però l’esecuzione di altri studi controllati verso placebo (in cui cioè una parte dei pazienti non riceve il vero vaccino) pone dei problemi di natura etica in quanto priva dei pazienti a rischio cardiovascolare di una strategia preventiva considerata efficace. 

La vaccinazione come strumento di prevenzione cardiovascolare
Considerato il lungo elenco di studi a sostegno dell’effetto preventivo della vaccinazione antinfluenzale anche nei confronti degli eventi cardiovascolari, non deve sorprendere che la sua esecuzione sia ufficialmente raccomandata in molti Paesi, inclusa ovviamente l’Italia, con specifiche indicazioni per la popolazione a rischio, fra cui appunto gli individui che abbiano una storia di eventi cardiovascolari. L’indicazione a eseguire la vaccinazione nei pazienti con malattie cardiache è inserita da quasi un decennio nelle raccomandazioni delle società scientifiche cardiologiche statunitensi e da un paio d’anni  anche in quelle della Società Europea di Cardiologia. Nonostante le indicazioni all’esecuzione della vaccinazione antinfluenzale nelle popolazioni a rischio si facciano sempre più stringenti, il numero di persone che si sottopongono alla vaccinazione è ancora largamente insufficiente. A preoccupare ancor più gli esperti è l’osservazione che in questi ultimi anni, anziché aumentare, la percentuale di popolazione che si sottopone alla vaccinazione è in calo. In Italia, per esempio in questi ultimi anni 
si è passati dal 17,8 (stagione 2011-12) al 15,6% (stagione 2013-14) nella popolazione generale e, rispettivamente, dal 62,7 a 55,4% in quella degli ultrasessantacinquenni (l’obiettivo minimo da raggiungere sarebbe quello di vaccinare il 75% della popolazione a rischio). Lo stesso fenomeno si è osservato nelle popolazioni a rischio al di sotto dei 65 anni in cui si è passati dal 30% circa del 2009-10 al 26% del 2011-12. Si tratta di un fenomeno che potrebbe in parte rappresentare una conseguenza negativa dell’allarme suscitato nella popolazione nel 2009 in previsione dall’arrivo di una pandemia provocata dalla comparsa di un nuovo virus influenzale di origine suina, l’A/H1N1. La pandemia si è effettivamente verificata, tuttavia la malattia ha avuto un decorso molto benigno per cui l’allarme è stato probabilmente visto come esagerato e ciò può avere indotto molti ad abbassare la guardia sia nei confronti dell’impatto di una possibile pandemia, sia, a maggior ragione, rispetto a una “banale” epidemia influenzale. Niente di più sbagliato, in quanto, specie nelle popolazioni a rischio, l’influenza è in grado di esporre a severe complicazioni, infarti compresi. Altri fattori che possono ostacolare la diffusione del vaccino includono il timore di effetti indesiderati (in realtà quelli gravi sono rarissimi), la paura (infondata) di prendere l’influenza dallo stesso vaccino oppure di ammalare ugualmente nonostante la vaccinazione. Per quanto riguarda quest’ultimo timore va detto che se da un lato l’efficacia del vaccino può essere influenzata da diversi fattori (età del soggetto, stato del suo sistema immunitario,  presenza di patologie croniche, tipo di virus circolante), più spesso il “fallimento” della vaccinazione è solo apparente. I sintomi influenzali possono essere infatti dovuti a uno dei circa 200 virus simil-influenzali circolanti e venire confusi con l’influenza.

I soggetti con malattie croniche rappresentano il target principale per la vaccinazione e la maggior parte delle raccomandazioni contempla le malattie cardiovascolari, polmonari, metaboliche; in molti casi sono comprese le malattie renali e i disordini immunologici. Altro target elettivo è la popolazione anziana.
Per ridurre significativamente la morbosità per influenza e le sue complicanze è necessario raggiungere coperture vaccinali elevate nei gruppi di popolazione ad alto rischio di tutte le età. 18 
Tra le strategie utili per incrementare le coperture vaccinali nella popolazione target a rischio per patologia, abbassare ad esempio a 60 anni la raccomandazione annuale di vaccinazione permetterebbe di assicurare un accesso più facile per i gruppi a rischio, indipendentemente dalla loro condizione clinica.
La prevenzione vascolare della popolazione sana e dei soggetti a rischio per patologie di base o per la presenza di fattori di rischio necessita di un approccio integrato che comprenda oltre alla 19 corretta valutazione del rischio e alla gestione clinico-terapeutica della malattia anche interventi specifici di immunoprofilassi vaccinale; il complesso delle evidenze scientifiche disponibili fornisce numerosi elementi che confortano, per nella loro complessità interpretativa, le scelte di Sanità Pubblica e le raccomandazioni scientifiche internazionali: la vaccinazione vaccinale antinfluenzale effettuata ogni anno rappresenta un efficiente mezzo per ridurre le complicanze in corso di epidemia influenzale e migliorare lo stato di salute della popolazione.

Le categorie maggiormente a rischio