Il virus dell'influenza

Come noto l’influenza è una malattia infettiva provocata da un virus dotato di una caratteristica peculiare che riesce a renderlo ogni anno “nuovo”: va incontro a delle modificazioni più o meno marcate della sua struttura. Questi cambiamenti fanno sì che il sistema di difesa dell’organismo sia in grado di riconoscerlo solo parzialmente o di non riconoscerlo del tutto. È questa la ragione per cui ogni anno il virus si diffonde nelle varie aree geografiche provocando l’epidemia di influenza, che quindi sarà più o meno severa e coinvolgerà un numero più o meno grande  di persone proprio in relazione a quanto il o i virus influenzali che si presentano sono differenti da quelli che li hanno preceduti.

Quest’anno la scoperta del virus dell’influenza compie 80 anni: era il 1933 infatti quando degli studiosi britannici riuscirono a isolarlo per la prima volta. Da allora è stato via via possibile caratterizzarne la struttura e distinguere tre tipi virali che vengono comunemente indicati come virus A, B e C. In realtà, solo i primi due sono realmente importanti per l’uomo.

 

Come è fatto il virus dell'influenza

A vederlo si presenta come una particella sferica con un involucro costituito da un doppio strato di lipidi all’interno dei quali sono presenti delle strutture proteiche che costituiscono la Matrice (M); la sfera, un po’ come una mina, è ricoperta da “spine” che a loro volta sono formate da due tipi di proteine chiamate Emoagglutinina (H) e Neuraminidasi (N). Queste spine hanno delle funzioni ben precise e che sono importanti per consentire al virus di aggredire l’uomo. La proteina H mette infatti il virus in grado di attaccarsi, a livello di particolari recettori, alla superficie delle cellule che rivestono il nostro apparato respiratorio. La proteina N provoca la degradazione del recettore e probabilmente entra in gioco in una fase successiva, determinando la liberazione del virus dalle cellule infettate una volta avvenuta la replicazione virale.

 

Come si trasforma il virus

Le due proteine costituenti le “spine”, Emoagglutinina (H) e Neuraminidasi (N), vanno incontro a delle variazioni che hanno come conseguenza quella di modificarne le proprietà antigeniche, vale a dire le caratteristiche che fanno sì che il virus possa essere riconosciuto dal sistema immunitario dell’organismo. In  pratica, anno dopo anno il virus tende a cambiare e appare perciò diverso agli “occhi” del nostro apparato di difesa. Questi cambiamenti subiti dalle due proteine vengono utilizzati anche per distinguere i diversi sottotipi di virus. È un po’ come se ogni anno il virus circolasse con una targa diversa che viene costruita sfruttando appunto la differente combinazione delle varianti delle proteine H e N. Ci sarà così il virus H1N1, l’l’H3N1, piuttosto che H7N9. Come si diceva, sono questi cambiamenti che rendono il virus più o meno diverso da un precedente virus con cui il sistema immunitario è già entrato in contatto in passato, che sarebbe perciò in grado di riconoscere e da cui quindi potrebbe difendersi. Il vaccino viene costruito proprio con i virus che hanno le targhe che si prevede circoleranno nella stagione in arrivo.

 

Da influenza a pandemia

Il fatto che le modificazioni siano di maggiore o minore importanza si traduce in una maggiore o minore virulenza dell’epidemia. Quando la modificazione è particolarmente importante esiste la possibilità che si verifichi una pandemia, cioè un’epidemia globale. È ciò che può accadere quando virus umani subiscono dei rimescolamenti con virus di origine animale (quali i virus degli uccelli – la famosa “aviaria” – o dei maiali). Infatti i virus influenzali, ma solo quelli del tipo A, possono provocare l’influenza non solo nell’uomo, ma anche negli animali come appunto uccelli e maiali, oltre che per esempio cavalli, balene e foche.

Può accadere che virus umani si combinino con virus animali dando origine a virus molto diversi da quelli di partenza. Per tali ragioni i virus di tipo A provocano epidemie e talvolta pandemie, quelli di tipo B causano forme prevalentemente sporadiche o epidemie, mentre i virus C possono determinare infezioni lievi o piccoli focolai tra i bambini. 

Le categorie maggiormente a rischio